Giulia, oss in crisi
Gentile redazione. Sono Giulia, una oss di 28 anni e lavoro da qualche mese per una cooperativa sociale in una piccola residenza assistenziale di provincia in Piemonte. Vi scrivo per manifestarvi il mio disagio quotidiano al lavoro che mi sta facendo valutare l'opportunità di rassegnare le dimissioni.
Premetto che sono oss da meno di un anno e che non credo assolutamente di avere alcuna verità in tasca ma avendo finito il corso oss di recente, conosco quello che mi hanno insegnato i docenti durante il corso e quello che ho appreso durante lo svolgimento dei tirocini nelle RSA e in ospedale. Ho pensato di fare un po' di esperienza in casa di riposo in attesa di partecipare ai concorsi pubblici e cercare di entrare a lavorare in ospedale.
La cooperativa per la quale lavoro mi ha contattato alla fine del corso proponendomi l'assunzione immediata prima con un contratto di 3 mesi e poi con il tempo indeterminato. Hanno in gestione una dozzina di case di riposo ed è una delle più grandi cooperative sociali presenti nel mio territorio.
Il problema è che in questa residenza dove lavoro, dovrei rimuovere tutto quello che ho imparato durante il corso oss e ricominciare daccapo ad assorbire un lavoro che invece viene portato avanti per tradizione. Le colleghe oss che ho trovato sono quasi tutte gentili e amorevoli al primo impatto ma purtroppo sono oss vecchio stampo, erano OSA o Adest che poi negli anni si sono riqualificate in operatrici sono sanitarie attraverso dei corsi di riqualificazione a volte durati solo una cinquantina di ore.
Mi ritrovo per questo a doverle seguire nei loro metodi di assistenza che non sono assolutamente quelli appresi durante il corso oss ma frutto della loro esperienza pratica maturata negli anni di lavoro. Non nascondo che talvolta qualche loro tecnica o qualche loro stratagemma sia convivisibile ma per la maggior parte delle volte mi ritrovo costretta a compiere procedure o semplici azioni quasi contro la mia volontà.
Per farvi qualche esempio, sono costretta ad assaggiare il vitto che arriva da una cucina esterna e a dover aggiustare le varie pietanze aggiungendo sale, olio e talvolta altre spezie, perchè le mie colleghe ritengono che il cibo che ci viene consegnato sia insapore. Ho fatto presente che non trovo opportuno correggere il lavoro di un cuoco e di una dietista che sicuramente avranno predisposto quelle ricette tenendo conto dell'utenza alla quale è destinato ma non hanno voluto sentire ragioni. Ne tantomeno hanno fatto presa i miei riferimenti al sistema HCCP e ai rischi che comporta questa modalità di manipolazione del cibo.
Altra cosa che mi mette in crisi è il loro modo di effettuare l'igiene direttamente sul pannolino sporco. In pratica slacciano il pannolino e senza rimuoverlo, praticano l'igiene senza avvalersi dell'uso di una padella o di una traversina monouso e di una brocca per l'acqua. In effetti questo loro metodo è più veloce ma non è avvalorato da nessuna linea guida e modestamente credo non sia affatto corretto.
I pazienti in grado di deambulare poi, vengono aiutati a sedersi sul water per poi essere lavati direttamente in piedi usando una doccetta montata nella parete accanto alla tazza.
Tutto questo mi sta mettendo in crisi e vorrei ricevere qualche consiglio prima di prendere decisioni avventate.